CURA Lab

Partecipazione 1/2

Il seguente testo riassume i risultati di un’attività laboratoriale condotta con un gruppo di studenti e studentesse del corso di Culture e Società dell’Europa (prof. Paolo Grassi, A.A. 2023-2024) della Laurea Magistrale in Scienze Antropologiche ed Etnologiche dell’Università di Milano-Bicocca.

Attraverso due uscite didattiche, gli studenti e le studentesse sono stati chiamati a interrogarsi in particolare sugli esiti del processo partecipativo avviato nell’ambito del progetto LOC. Di seguito vengono riportati alcuni stralci delle relazioni finali prodotte. I testi sono stati curati da Camilla Ferrari, studentessa della Laurea Magistrale in Scienze Antropologiche ed Etnologiche e tirocinante presso lo spazio Off Campus San Siro per il laboratorio CURA lab tra il mese di marzo e luglio 2024.

Il ruolo delle istituzioni nella rigenerazione di piazzale Loreto e il contributo dell’analisi etnografica

Andrea Nichetti
Piazzale Loreto è uno degli snodi principali della città di Milano, in cui ogni giorno transitano centinaia di persone; ma la sua importanza sembra risiedere più in termini come “flusso” piuttosto che “legame”, viabilità più che vivibilità, nelle parole di chi per diversi motivi la frequenta quotidianamente. Questo è precisamente uno degli elementi che, con il tempo e il variare delle realtà socioculturali che la abitano, hanno costituito Loreto come una sorta di non-luogo in cui si incrociano ma non si incontrano diverse realtà. Una condizione di marginalità che mette in moto processi sempre più accentuati di chiusura, conflittualità e (termine gettonato per descrivere la situazione) “degrado”. La soluzione a questo stato di cose sembra essere stata individuata nel progetto Reinventing Cities, una “competizione globale” in cui alcune fra le città più influenti si impegnano in progetti di rigenerazione urbana “al fine di raggiungere un futuro inclusivo, prospero e sostenibile” , individuando alcuni brani di città passibili di essere riattivati. Loreto fa parte di queste realtà: il progetto di rigenerazione in cui è inserito ha scadenza 2026, data non casuale poiché coincide con l’apertura dei giochi olimpici invernali di Milano-Cortina.

Di centrale importanza in questo progetto sono le istituzioni ed è perciò interessante capire come esse sono percepite dai cittadini rispetto al loro ruolo nella costruzione della nuova piazza. Esse, infatti, sono avvertite come al contempo onnipresenti e lontane, come la parte in gioco che si arroga tutto il potere decisionale, influenzando interamente il corso dei processi in atto. Una frase ricorrente fra le persone intervistate è stata «Tanto hanno già deciso tutto».

Le istituzioni non sono pensate quindi come un interlocutore diretto da buona parte degli intervistati, ma come un oggetto distante che però prende tutte le decisioni, le cui ricadute sono visibili e tangibili nella realtà quotidiana. Il risultato è una serie di reazioni che oscillano non solo fra l’accettazione e l’indifferenza, ma che attraversano anche dimensioni di rassegnazione, frustrazione, quando non addirittura di manifestazioni (verbali e non) di violenza. La dimensione istituzionale rimane comunque fondamentale perché permette di cogliere localmente la presenza di realtà sovraindividuali (urbane, nazionali, europee, ecc.) che entrano in rapporto con i singoli attori e gruppi sociali. In questo caso, le istituzioni sono sia pubbliche (il Comune di Milano), che private (Nhood, “società internazionale di soluzioni immobiliari specializzata nel commercial real estate” e, più recentemente, specializzatasi in rigenerazione urbana).

Il punto d’incontro tra istituzioni e cittadini è lo spazio di LOC2026 situato in Viale Porpora, una sorta di laboratorio di quartiere che offre alle persone sia la possibilità di venire informate sulle modalità e gli scopi del progetto, sia di dare il proprio contributo attivo, partecipando quindi in maniera più diretta al processo di cambiamento dello spazio pubblico. Questo luogo d’intersezione tra cittadini (residenti, negozianti, parti interessate) e istituzioni sembra presentare un’interessante opportunità per instaurare una dinamica partecipativa, ma rivela anche diverse problematicità, tra cui orari di apertura limitati, processi di engagement poco diretti, ecc. Ma la questione della partecipazione non si esaurisce nella capacità di attrazione di questo laboratorio e riguarda anche la costruzione delle identità locali: la percezione relazionale fra identità e spazio incide molto sul grado di partecipazione degli attori sociali ed è proprio questo uno dei fattori che influenzano maggiormente le loro aspettative e i loro apporti al processo di trasformazione della piazza. Lo spazio del piazzale accoglie una varietà di identità multiculturali che possono generare dinamiche conflittuali nell’utilizzo della piazza. Il progetto di rigenerazione urbana di Piazzale Loreto cerca in parte di prendere in carico queste dinamiche, ma anziché riconoscere alcune funzionalità dei conflitti o l’irriducibilità fra i desideri e i bisogni dei diversi gruppi sociali, tende a volerli appianare omogeneizzando lo spazio, accentuando così processi di esclusione ed espulsione delle categorie già stigmatizzate e marginalizzate.

Copyright Matteo Spertini

In questa complessa rete di rapporti, spesso costituita da poteri sbilanciati, le retoriche promozionali delle città rischiano di ridurre la complessità abitativa, lavorativa e anche ludica che le costituisce ad una “monocoltura” urbana benestante. In tal senso, un approccio etnografico a queste complesse realtà si rivela molto utile per portare alla luce dimensioni conflittuali e processi espulsivi impliciti in una logica di rigenerazione urbana. Volendo ripensare le relazioni con lo spazio, che non è mai neutro ma sempre carico di significati – piazzale Loreto come spazio di speranza, immaginazione, memoria collettiva e incarnazione dell’ideale di progresso delle città europee, – l’antropologia ha un ruolo fondamentale nel fare da ponte, potendo mettere in campo strumenti per informare le politiche sulle città e gli spazi pubblici e per aiutare le parti coinvolte a rinegoziare la propria posizione. Il suo contributo è tanto più significativo quanto più è in grado di far emergere, attraverso l’approccio etnografico, i presupposti impliciti nelle idee dei diversi attori sociali. Ma essa ha anche la capacità (e forse la responsabilità) di restituire, di diffondere quelle elaborazioni originate insieme ai propri interlocutori locali per rinegoziare le interpretazioni che contribuiscono a costruire la trama delle relazioni fra gli attori sociali e i loro spazi. L’antropologia è qui pensata come una scienza attiva e pratica, che costituisce un’ottima base per quella che viene chiamata ricerca-azione e che ha quindi la possibilità di fornire strumenti alle parti in gioco per resistere al potere che le investe.

Il progetto e lo spazio di LOC2026 tra partecipazione reale e fittizia di chi abita e vive la piazza

Aurora Bazzi
Piazzale Loreto, nel tempo è cambiata molto: durante il ducato di Milano sorge come piazza dedicata al santuario della Madonna di Loreto, ubicato proprio in quest’area, per poi diventare, dopo la demolizione della Chiesa, “rondò Loreto” e infine cambiando nuovamente il nome in quello che manterrà fino ai giorni nostri. Nell’immediato secondo dopoguerra italiano, dopo la liberazione di Milano, la piazza venne per un breve tempo chiamata piazza dei Quindici martiri a ricordo dei partigiani fucilati, per poi riprendere la sua precedente denominazione.

In occasione delle Olimpiadi Milano-Cortina del 2026 si è pensato ad un nuovo disegno per un luogo centrale per la città di Milano ad alto valore storico-culturale. Il progetto è opera di Nhood, società privata che ha vinto il bando per la riqualificazione urbana di piazzale Loreto. Nel corso del 2023 viene aperto uno spazio, LOC2026, in cui ci si può recare per visionare il progetto e che vuole rendere i cittadini partecipi di questo cambiamento: la trasformazione consiste nel convertire in zona pedonale più di novemila metri quadrati di piazza, con una conseguente modificazione della viabilità ad “U”, aggiungendo anche nuove aree verdi ad uso pubblico, nuove piste ciclabili e pannelli solari. La riqualificazione di piazzale Loreto mirerebbe a migliorare la viabilità rendendo la piazza esteticamente più attraente. Ma, nonostante la diffusione del disegno sia passata per cartelloni pubblicitari, internet, televisione e lo spazio di LOC2026 – il quale intento esplicitato sul sito è di creare «un luogo di condivisione e ascolto reciproco in cui approfondire il progetto e lasciare il proprio contributo. […] il primo angolo della città che torna ai suoi cittadini», dedicato a «chiunque voglia conoscere, approfondire e confrontarsi su ciò che sarà la nuova piazza» – dalle interviste fatte presso alcuni bar e ristoranti della zona, solo pochissime persone conoscono l’esistenza di questo spazio e vi si sono recate.

Quella che può sembrare un’idea innovativa, il perfetto anello di congiunzione tra il Comune di Milano e i cittadini che vivono il piazzale, in realtà non ha avuto gli effetti desiderati. Ad esempio, Gianni – un commesso sulla quarantina di un negozio in via Pasteur – sostiene che «hanno fatto tutto senza consultarci, senza dirci niente, ci siamo ritrovati in questa condizione senza fare niente». E anche presso un altro bar che si trova sul piazzale, Marisa, una donna sulla cinquantina, afferma: «Trent’anni che siamo qui ma non sappiamo niente, nemmeno cosa sia il LOC2026».

Inoltre, dalle interviste emerge un tema in particolare, ovvero il problema della circolazione e del traffico limitato dovuto alla chiusura delle strade. Mario, uomo di mezza età dipendente di un bar in viale Abruzzi, esprime le sue critiche: «Noi non siamo contenti che cambi. Chiudere una corsia in Buenos Aires vuol dire che i vigili e l’ambulanza non passano. […] Anche chiudere via Padova non esiste, è un’arteria quella!». Ma il problema principale che preoccupa la maggior parte degli intervistati riguarda la possibilità che le proprie attività vengano chiuse: «Tu non puoi decidere di chiudere una strada con dentro attività che vivono di passaggio», afferma Gianni, «volete riqualificare? Non c’è problema! Ma date l’opportunità alle attività che danno lavoro, che pagano le tasse di continuare a lavorare».

Dalle interviste svolte, sembra che il problema non sia la riqualificazione in sé, ma piuttosto i danni e le conseguenze negative che ci saranno a seguito di questa: «Io posso capire una riqualificazione ma non uno stravolgimento» dichiara Mario; e ancora Gianni rafforza il concetto «Io non è che sono contro la riqualificazione delle zone, ma bisogna farlo con intelligenza e soprattutto coinvolgere non solo il cittadino che ci abita ma anche chi ci lavora».

In conclusione, nonostante l’intento inclusivo, lo spazio di LOC2026 – aperto otto ore al giorno per sei giorni alla settimana compresa la domenica – non sembra aver soddisfatto appieno le aspettative dei residenti e dei city users, arrivando a creare in alcuni casi delle lamentele soprattutto per quanto riguarda il processo decisionale. Ciò che non ha funzionato probabilmente ha a che fare con una scelta presa “dall’alto” e che solo una volta stabilita chiede l’opinione di chi quella scelta la vivrà. La creazione di uno spazio come LOC è una bellissima opportunità progettuale, ma che per certi aspetti appare sprecata.

Ogni cambiamento può generare sia il contento che lo scontento degli attori che lo vivono. Sicuramente è complesso tenere in considerazione l’opinione di tutti ed è impossibile accontentare la totalità̀ degli attori sociali coinvolti. La partecipazione prevista dal progetto sembra quindi solo parzialmente realizzata, a discapito di una narrazione che ha messo al centro concetti quali “condivisione”, “ascolto reciproco”, “contributo” e “confronto”.

Sentimenti e aspettative degli attori che abitano la piazza in merito al progetto LOC: il punto di vista degli edicolanti.

Guendalina Pozzi
Per indagare etnograficamente se coloro che vivono la piazza per diversi motivi – lavorativi, scolastici, ricreativi o logistici – siano a conoscenza del progetto LOC (Loreto Open Community), cosa ne pensino, quali siano le loro aspettative ed eventualmente il loro coinvolgimento nella co-costruzione della nuova Loreto, è stato scelto un target specifico: gli edicolanti. Questa scelta è stata influenzata dalla convinzione che, possedendo un’attività radicata nel territorio, innervata nella porzione di tessuto urbano e sociale su cui sorge, gli edicolanti possano comunicare informazioni, pareri, opinioni personali e condivise, utili a capire quanto e come i cambiamenti in atto stiano coinvolgendo (attivamente o passivamente) i cittadini. I punti di interesse individuati sono tre: un’edicola nel sottopassaggio, una che si affaccia su piazza Loreto, e un’altra situata in Viale Monza. Gli attori sociali coinvolti sono tutte persone adulte, intorno alla cinquantina, sia uomini che donne.

La prima questione che emerge è che nessuno di loro sembra essere stato coinvolto in modo attivo nel processo di definizione del progetto. Così, ad esempio, Mario, il primo edicolante intervistato afferma:

«Ci è arrivata una lettera con scritto cosa avrebbero fatto, quando lo avrebbero fatto e dove. Noi non abbiamo fatto proprio nulla»

Anche chi ha spontaneamente aderito a un’iniziativa dell’amministrazione, pensata appositamente per informare e coinvolgere residenti e attori locali in merito al progetto, ha lamentato la scarsa inclusività dell’incontro, la difficoltà nell’intervenire durante il suo svolgersi. Questa è la percezione di Sara, altra edicolante, che così si è espressa in merito:

«Nessuno poteva parlare o ascoltare, perché l’architetto che avrebbe dovuto presentare il progetto parlava solo inglese e non si sono prese in considerazione richieste o aspettative. Nessuno ha sentito che le proprie critiche potessero realmente essere accolte».

Nelle parole sue e di tutti coloro che sono stati interpellati, spiccano la profonda incertezza nella quale vedono fluttuare le proprie attività e, quindi, le loro vite, dovuta all’apparente e percepita carenza di informazioni, nonché l’emergere continuo di emozioni contrastanti. Il quasi inesistente coinvolgimento di coloro che lavorano nei pressi della piazza, i quali saranno probabilmente tra i più toccati dai cambiamenti in atto, ha infatti prodotto sentimenti molto radicati, che oscillano tra la rassegnazione – «Sarà un disastro completo» – e la rabbia. La frustrazione di non sentirsi ascoltati, coinvolti, di non vedere accolte le proprie opinioni, porta alcuni interlocutori a definire il progetto come uno “scempio”. Il rifiuto del cambiamento in atto e di ciò che quest’ultimo potrebbe comportare è evidente. La forza di tale rigetto si nutre dei molteplici dubbi riguardanti le questioni pratiche, logistiche, gestionali che interessano la piazza, timori dai quali gli interlocutori non sembrano in grado di disancorarsi; emerge a più riprese il problema della sicurezza (soprattutto stradale, vista la presenza di piste ciclabili non protette, zone di sosta per carico/scarico merci, ecc.) legato a quello della socialità («Vorrei sapere chi porterebbe i propri figli a Loreto per farli giocare, o nel passeggino per una passeggiata»), della pulizia («È uno schifo, la mattina quando arrivo ci sono sempre i topi che se ne vanno in giro»), del traffico («Se sei qui e chiami un taxi per andare a Porta Venezia, chi guida ti dice di andare a piedi, perché i dieci minuti che dovresti percorrere diventerebbero quarantacinque. Come pensano di gestire il traffico? Se blocchi Loreto, blocchi mezza Milano»).

Una commistione di sentimenti, aspettative e preoccupazioni sembrano accomunare più persone, soggetti che si percepiscono come costretti in una passività quasi totale di fronte ai cambiamenti previsti per la riqualificazione urbana – e sociale – di Piazzale Loreto, il cui volto, molto probabilmente, cambierà nel breve o medio periodo.

Ciò che emerge è che le persone interpellate abbiano riversato nelle interviste tutta quell’impossibilità percepita di far sentire la propria voce, come se questo fosse l’unico spazio d’azione concesso loro. Sorgono allora molteplici domande: le opportunità di partecipazione non ci sono state o non sono state adeguatamente comunicate? In questo caso, perché ciò è avvenuto? In quale misura è effettivamente possibile accogliere le richieste avanzate dai cittadini in merito a un progetto di questa tipologia e portata? Cosa celano le preoccupazioni espresse dai cittadini in merito al progetto? Stanno resistendo a un cambiamento, oppure, nel tentativo di resistervi, contribuiscono alla sua realizzazione? E se vogliono resistervi, come lo fanno e perché?