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Lo spettro della gentrificazione

27 maggio 2022, Note di campo
Lo spettro che si aggira nell’area è quello della gentrificazione. Ne parlano i ricercatori che si occupano dell’area, i residenti che conosco. Loreto è la porta di questo pezzo di città che si sta staccando: affitti alle stelle, nuove agenzie immobiliari, giovani creativi che cercano casa. Il processo sembra irreversibile, trainato da una brandizzazione territoriale scaturita dal basso.

In molte interviste emerge con forza la questione della gentrificazione. Il progetto di rigenerazione della piazza, così come i più ampi processi di trasformazione che stanno attraversando l’area, smuovono in molti residenti una paura relativa a un possibile processo di espulsione degli strati più poveri della popolazione.

Il mercato immobiliare dell’area è florido, i prezzi aumentano. Molti interlocutori raccontano ad esempio di agenti immobiliari che chiamano in continuazione i proprietari chiedendo di mettere in vendita i loro appartamenti: “Per quanto mi riguarda, non so quante telefonate – io non rispondo più – ma ogni tanto mi fanno qualche trucco e riescono. Uno è stato proprio ieri o l’altro ieri. Di uno che è riuscito a farmi parlare dicendo che… sembra quasi un disco, perché dicono tutti la stessa cosa. «Abbiamo appena venduto un appartamento in via Ricordi. Sono richiestissimi». È anche vero. Sono state fatte delle vendite, un paio negli ultimi anni, di persone che sono andate via così e il cartello è stato fuori solo qualche giorno” (giugno 2022).

Nel quartiere, inoltre, l’aumento dell’offerta di Bed & Breakfast è stato molto rapido e superiore rispetto alla media della città (Coppola e Pacchi 2020).

I processi di espulsione che attraversano quell’area non sono però registrabili a livello quantitativo. I dati a disposizione registrano semmai l’aumento del prezzo degli affitti, un numero minore di case messe in affitto e un numero minore di stranieri proprietari di case. Il processo di espulsione in sé è rintracciabile unicamente attraverso la rilevazione di singole traiettorie biografiche. Alcuni interlocutori a contatto con gli strati più fragili della popolazione lo confermano, come ad esempio gli operatori del centro Mosso (intervista, ottobre 2022), uno spazio sociale di nuova apertura gestito dall’Associazione Temporanea d’Impresa composta da cinque realtà del privato sociale (La Fabbrica di Olinda, COMIN, CSF, Associazione Culturale Ludwig, Associazione Culturale Salumeria del Design).

Chi non è proprietario di casa rischia quindi di soccombere. I posizionamenti soggettivi rispetto alla questione articolano opinioni diverse, a volte contrastanti. C’è chi tutto sommato vive il processo di trasformazione in maniera positiva. Ad esempio, Elena, la ragazza cresciuta in quartiere in procinto di aprire un’attività commerciale, è felice di poter uscire in zona e frequentare dei locali. Sente tuttavia la mancanza di negozi di prossimità: fruttivendoli, macellerie, cartolerie: “Io ci sto meglio. È il momento in cui mi sono resa conto che potevo uscire la sera anche vicino casa. È stato migliorativo pensare di andarmi a bere la birretta in piazzetta invece che andare in porta Venezia. Ciò che a me manca tantissimo è però la dimensione di quartiere, mancano i negozi” (settembre 2022).

Altri interlocutori percepiscono invece di stare all’interno del processo di gentrificazione descritto, di esserne parte senza volerlo, non sapendo come chiamarsene fuori. Giovanna, operatrice sociale all’interno di Mosso, da una parte, lavorando in uno spazio riqualificato che attrae popolazione di classe media, si sente un’agente di gentrificazione, dall’altra, comprende come la sua professione si rivolga agli strati più poveri del quartiere: “E allora, sulla carta, nel senso come intenzioni, ci sarebbe quello di offrire un po’ a tutti. Per ora, in questi tre mesi il pubblico prevalente è stato quello della Milano dell’aperitivo. Però forse qualcosa si sta modificando. Nel senso che comunque sono anche processi che… Hanno bisogno di tempo, di integrazione. E quindi forse qualcosa si modificherà” (settembre 2022).

Copyright Matteo Spertini

Mario, titolare di una libreria indipendente, mi descrive una sensazione simile: “Ti posso dire che noi siamo qui e se vuoi partecipiamo un po’ a questo tipo di visione che può avere il quartiere, anche se cerchiamo magari con le nostre iniziative di far capire di avere uno sguardo critico. Però, se vuoi, la contraddizione più ridicola è che noi siamo qui in un locale che posso anche dire tranquillamente dopo tre anni – avendo passato pandemie, carestie, guerre e cose che non si vedevano da cinquant’anni – di aver fatto una cosa economicamente sostenibile, ma non a sufficienza da permetterci un affitto qui, noi singolarmente. Quindi boh, mi sto cacciando da solo? Non ne ho idea” (ottobre 2022).

Sembra quindi emergere in alcuni interlocutori “un senso di colpa”. Sono persone che hanno sviluppato una coscienza critica, ma si sentono imbricate in processi strutturali “più grandi di loro”. Si tratta di persone che si autorappresentano come fautrici di processi espulsivi, “loro malgrado”. Un ricercatore sociale residente nella zona ha riassunto questa riflessione in poche parole: “Sono processi di cui decidi di renderti complice per garantire la tua realizzazione. Non ci si riesce a pensare fuori da quei condizionamenti” (luglio 2022).

Di fronte a questa impasse, le soluzioni prospettate sono molteplici. Da un lato c’è chi problematizza il proprio ruolo e la propria azione in quartiere, sostenendo tuttavia di non essere in grado di intervenire sulle dinamiche strutturali che favoriscono processi espulsivi. Così, ad esempio, il responsabile del gruppo legato a Off Campus NoLo, Davide Fassi, è consapevole dei rischi che la sua attività progettuale comporta. Si chiede però se la trasformazione dello spazio produca di per sé gentrificazione (“Creando del bello, io gentrifico?”, afferma). Fassi sostiene che la trasformazione del quartiere NoLo sia avvenuta dal basso, in un contesto caratterizzato da alta frammentazione della proprietà degli alloggi e assenza di edilizia residenziale pubblica (cfr. Fassi e Manzini 2021). Un processo di gentrificazione di NoLo può secondo lui essere arrestato solo con un intervento dall’alto, quindi a livello di politiche urbane.

Ho potuto registrare una posizione simile anche tra i progettisti membri della cordata che riqualificherà Piazzale Loreto. Uno di loro, ad esempio, mi descrive la trasformazione di quello spazio urbano come positiva. La gentrificazione è dal suo punto di vista un “effetto collaterale”. Per impedirla è necessario agire dall’alto, a livello istituzionale, anche se gli strumenti adottabili attualmente sono pochi. Un’operazione alternativa può consistere, dal suo punto di vista, nell’estendere la rete dei servizi a zone esterne al centro urbano, rendendo quindi l’area metropolitana più accessibile (intervista, giugno 2022).

Altri residenti hanno invece assunto posizionamenti diversi, cercando un’interlocuzione diretta con le istituzioni. Il gruppo “Abitare in via Padova” ha recentemente indetto una raccolta firme per la promozione di “Azioni urgenti per il diritto alla casa nel territorio di via Padova/ Monza/ Venini (NOLO)”. Tra le azioni auspicate si cita: l’aumento dell’offerta di case incentivando i piccoli proprietari di case sfitte a renderle disponibili a canone concordato in cambio di vantaggi fiscali e rassicurazioni contro la morosità; l’acquisizione da parte di cooperative del privato sociale di appartamenti all’asta o sfitti per ristrutturarli e affittarli a canone sociale; la diffusione degli strumenti del portierato sociale e dei patti condominiali nelle situazioni condominiali più critiche; il recupero gli stabili abbandonati in zona per creare ostelli per lavoratori; l’aumento gli oneri di urbanizzazione; aumentare la quota di appartamenti a canone di affitto concordato.

Altri attori locali hanno assunto posizioni ancora più radicali. È il caso del Centro Occupato Autogestito T28, ubicato in via dei Transiti, o Casa Crescenzago, più a nord, lungo via Padova (Lo Presti 2021). La strategia di questi soggetti vede nella creazione di spazi autogestiti una possibile soluzione. In questi casi, più che il dialogo con le istituzioni, si cerca di sostenere pratiche di resistenza al di fuori dai quadri normativi stabiliti, ritenuti essi stessi parte del problema.

(Il testo, elaborato da Paolo Grassi, è tratto dal report del progetto “Riqualificazione green di aree urbane dismesse. Un approccio etnografico e comparativo all’analisi e alla realizzazione (2022-2023)” – fondi PON «Ricerca e Innovazione» 2014-2020 – Asse IV «Istruzione e ricerca per il recupero». Azione IV.6; Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “R. Massa”, Università degli Studi di Milano-Bicocca).